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Immagine del redattoreAlessandra Porta

La mia storia di cioccolato in rosa




Dieci anni fa, se avessi scommesso di trovarmi qui a scrivere di pasticceria, avrei sicuramente perso. D’altra parte, non sono mai stata una gran giocatrice d’azzardo. Il fatto è che, mentre cercavo la mia strada, studiavo e prendevo porte in faccia (dovrei usare anche l’indicativo presente in questo caso!), mi sarebbe piaciuto essere accompagnata lungo il cammino, magari anche solo per brevi tratti. Mi sarei sentita meno sola. Ecco perché ho deciso di scrivere: non perché mi senta un guru dell’imprenditoria e nemmeno perché ritenga di possedere la formula magica dell’attività perfetta (che probabilmente non esiste), ma penso che la condivisione delle esperienze e lo scambio di idee generino stimoli innovativi. Mi chiamo Alessandra, ho trentatré anni e da circa cinque sono diventata titolare di una pasticceria: Chocolat. Non so quante e quanti di voi facciano ciò che sognavano da bambini, io di certo no; nel mio cassetto “lavoro”, non c’è mai stato un sogno specifico, soltanto un generico “mi piacerebbe scrivere un giorno”. Sì, ma scrivere di cosa? Per chi? I sogni nel cassetto “studi” invece erano molti, e con la laurea in lettere li ho realizzati. Ho scelto il percorso universitario che preferivo e lo rifarei, ma purtroppo l’evoluzione del mercato lavorativo mi ha resa sempre più consapevole, col passare degli anni, che la mia carriera professionale non sarebbe stata così definita come quella di chi scelse la scuola per parrucchieri o la laurea in ingegneria aeronautica. In effetti, ho capito di essere sulla mia strada mentre già la stavo percorrendo. Ho conosciuto Simone, mio marito, quando vivevo a Siena da qualche mese e lì sono rimasta per quasi otto anni. Lui, che aveva da sempre lavorato tra i fornelli in giro per l’Italia, scelse di approfondire anche lo studio del cioccolato prima e della pasticceria poi, e fu un colpo di fulmine. Anni di sacrifici, auto vendute, risparmi investiti in formazione e corsi un po’ ovunque, hanno dato a entrambi la conferma che questo fosse il suo mestiere, il suo abito su misura. È bellissimo osservare qualcuno che lavora con passione: fa apparire così semplice ciò che fa, da spingerti quasi a imitarlo. Quando Simone mi confessò il desiderio di avere un posto in cui raccontare la sua idea di pasticceria, fui felice di dare una mano nella progettazione del locale; la scelta dei colori delle pareti, di arredi originali, sono cose con cui adoro cimentarmi. In fondo, lavoravo saltuariamente come insegnante, non avevo ancora le idee chiare e perciò avevo del tempo libero da dedicare al progetto “Chocolat”. Gli anni che seguirono furono molto difficili: la burocrazia, le pratiche bancarie, gli studi di settore e i business plan offuscarono gran parte dell’energia positiva e della creatività che ci distinguevano in partenza; per non parlare di tutti gli addetti ai numeri che ripetevano in continuazione che i numeri che avevamo non erano abbastanza numeri. La difficoltà di essere soli e gli orari massacranti per restare a galla ci rendevano spesso tristi, esausti, ma soprattutto frustrati perché niente era come lo avevamo immaginato. Diventare imprenditori è un po’ come diventare genitori: nessuno può insegnarti a farlo. Libri, manuali, software e corsi di contabilità e marketing possono essere utili, ma nulla di tutto ciò contiene una regola universale da utilizzare (e personalmente, credo che essere titolari di un’attività significhi più di questo). Il lato della strada, un colore o una luce possono fare la differenza; un’idea poco produttiva in un posto può essere geniale in un altro e lo abbiamo imparato a nostre spese. Ero stata risucchiata da un vortice e confesso di aver pensato, più di una volta, di lasciar perdere. Pensavo spesso che, di solito, chi apre una pasticceria o è pasticciere/a in prima persona oppure forse intravede la possibilità di fare business e inizia a lavorarci. Per me non è stato così: fino a un certo punto, non sapevo nemmeno di dover decidere io il dove e il come, la mia unica certezza era il chi e il suo talento. Da questo unico punto fermo ripartimmo, entrambi. Non saprei dire se la seconda volta siamo stati folli o lungimiranti. Aver già tentato, di solito, significa, non soltanto sapere più chiaramente cosa realizzare, ma anche quali errori non si vogliono ripetere. Abbiamo riflettuto a lungo per capire cosa volessimo cambiare; se mi chiedeste quali siano stati esattamente i passi giusti che ci hanno condotto fin qui, non saprei rispondere. So soltanto che ci siamo trasferiti e ci abbiamo provato, di nuovo. Sono tornata in provincia di Torino, in quello che è stato il paese della mia infanzia e, anche se non l’avrei mai creduto, mi piace vivere qui. Da ragazza non vedevo l’ora di scappare, scoprire posti nuovi e conoscere persone diverse, perciò, dopo essere andata via, non saltavo di gioia all’idea di tornare; sentivo, però, che questo fosse il posto giusto per la nostra attività. Se all’inizio eravamo distrutti per aver “fallito” nel progetto, in seguito decidemmo di lavorare sodo per creare un nuovo Chocolat che si portasse dietro il buono del primo esperimento: una sorta di Chocolat 2.0. Posso dire che soltanto allora, circa tre anni fa, sono diventata consapevole di ciò che avrei voluto fare da grande. Forse, mi sarebbe piaciuto avere una guida, una persona di riferimento, per consigliarmi, qualcuno che avesse già affrontato problemi e imprevisti simili ai nostri e che avesse trovato il modo di aggirarli o risolverli. Forse, avrei capito prima se il mondo della pasticceria sarebbe potuto diventare il mio. Non sarò mai in grado di trasmettere fino in fondo quanto sia eccitante e spaventoso avviare una startup in questo settore, tanto affascinante quanto competitivo, ma vorrei comunque provarci. Ognuno di noi ha una storia da raccontare, ognuno a modo suo. L’architetto progetta case, lo chef cucina piatti, il musicista compone melodie, Simone racconta la sua storia attraverso i dolci. Io racconterò la mia, attraverso la scrittura. Con la mia penna, di cioccolato rosa. E voi? Avete già scoperto il modo di raccontare la vostra storia?




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